Pane, pane, panetto mio!

12 Gen

Mentre attendo che arrivi il mio turno. A Terni. Ho sonno. Non ho la sedia. Che fare?! Scrivo una bella ricetta…il super-pane tipo fornaro!!!

Ecchetelo qui! Gua’ che bello…

  
Allora. Uno dice: “ao, ma sembre er pane stai a fa’? Ma che due xxxxx!”. Primo, me tocca censuratte per volgarità gratuita. Secondo, tu lo sai che a te te piasce Marco in Padella anche, dico “anche”, pe’ le cavolate che scrive. Terzo importantissimo punto, il pane è una cosa seria, seriiiissima; e il panettiere è come l’alchimista che tenta e ritenta di raggiungere un obbiettivo che probabilmente mai ello raggiungerà…però l’alchimista diventa cieco, il panettiere grasso. Io sono secco. Non sono panettiere. Apposto.

Ci servono due cose: la biga e l’impasto. Biga+impasto=pane. Pane+persiutto=panì. Panì+vino=goduria!

La biga:

Essa è, come tutti sanno, una specie de carrozzone a due ruote che i ggiovini romani utilizzavene per scappa’ (uscire) la sera a far bisboccia. La costruivene con un impasto di acqua, lievito e farina e poi ci attaccavano un cavallo. Oggi io utilizzerò solo i primi tre ingredienti, lasciando per il momento il cavallo nella stalla. Prendete, orsù dunque, 150 gr di farina forte (w350), 70 grammi di acqua e 1 gr di lievito di birra… No! Il cavallo, no… abbiamo detto di non metterlo. Sciogliete il lievito in acqua e miscelate gli ingredienti ottenendo una massa omogenea. Mettetela in un contenitore e copritela con della pellicola trasparente, con sopra un piattino, con sopra e intorno uno strofinaccio. La pellicola non deve toccare la massa: e piglia un contenitore più grande, capoccione! Lasciatela a temperatura ambiente (18/20 gradi centigradi) per 18/20 ore massimo. Essa svilupperà puzzolenze gradevoli e sfamerà il lievito. Sarà il vostro aiuto per rendere il pane buonissimo.

L’impasto

Ti servono 350 gr di farina, 250 ml di acqua e 3/4 gr di lievito, un pizzicone di sale e del miele….io ancora sono in attesa a Terni…

A questo punto si dovrebbe mettere la biga in impastatrice e aggiungere le robbe sopra elencate. Io invece faccio a modo mio. Sciogli il lievito in acqua, aggiungi a poco a poco la farina e impasta per qualche minuto. Quando l’impasto avrà preso forma, riversa la biga sul tavolo da lavoro (quello della cucina…con te non se sa mai), aggiungi mezzo cucchiaino di miele e lavorala leggermente in modo che la massa ingoi il nettare apino. Poi allarga la massa sul tavolo e poggiaci sopra l’impasto del pane. Mescola le due masse impastandole assieme. Impasta per 6/7 minuti e una volta che esse saranno divenute omogenee forma una “pallocca” e mettila a lievitare in un idoneo contenitore. Pellicola sopra; non a contatto. Piattino. Panno. Ora sei quasi giunto alla fine e a breve avrai il tuo pane. Passate 4/6 ore (a seconda di quanto tieni appicciati i termosifoni a casa) riversa l’impasto sul tavolo e dividilo in due facendo la massima attenzione a non distruggere le bolle che l’impasto contiene (le bolle che vedi in foto le ho ottenute proprio facendo attenzione a questo passaggio). Rotolalo leggermente per dargli una forma che sostenga l’accrescimento della massa (in internet trovi tanti siti che ti insegnano come maneggiare le masse lievitate… pirla! “Ma io te spacco la faccia, marguttu!!!”, non ci siamo capiti, pirlare significa fare delle pallette col pane; è un esempio di operazione cui la massa può essere sottoposta: pirla!), mettilo sul contenitore con cui infornerai e pratica dei tagli sulla parte alta per facilitare la levitazione verso l’alto. Poiché la lavorazione avrà in parte riabbassato la massa, lascia che l’impasto torni a lievitare per 1 o 2 ore, poi inforna a 210 gradi per 20 minuti e poi ulteriori 180 gradi per 25 minuti. Fine

Marco

ps vado che tocca a me!

Il pane

6 Gen

Tiè! Ciapa chi (acchiappa qua)! Guarda che bello sfilatino me so’ fatto a casa!!!

  
Vuoi sape’ come? Leggi qui sotta (sotto):

Ingredienti:

Farina durissima (w 350) 1 pacco (…dispacco!), lievito di mirra (visto che oggi è il 6 gennaio), acqua, olio stravergine de jia ( extra-vergine di oliva), tembu (tempo).

Per la biga:

Pija ‘na sgroèlla (prendi un piccolo contenitore). Smeshteca (mescola) 150 grammi di farina con 70/80 grammi di acqua in cui avete già sciolto 1 grammo di lievito di birra (“avevi detto mirra, no birra”; era una battuta… A proposito di birra bevine de meno, così te svegli!). Una volta che avrete miscelato bene gli ingredienti, fatene una palletta e mettete il tutto nella “sgroella”, avendo cura di coprire il contenitore con una pellicola trasparente e, magari, un panno. Tenete il composto in lievitazione per almeno 15/20 ore. “Perché?”, perché ello prenderà una puzzetta che darà gusto e profumo al vostro pane.

Per il pane:

Miscelate 350 grammi di farina con 250 grammi di acqua in cui avrete già disciolto 2 grammi di lievito. Lasciate lievitare l’impasto per circa 6/8 ore, poi versatelo sul tavolo da lavoro e dategli due piegature. (Parentesi: date all’impasto una forma più o meno quadrata, richiudetelo a portafoglio, ossia fate finta di suddividerlo in tre parti e sovrapponete il lembo di sinistra su quello centrale e il lembo di destra sui due già sovrapposti, ossia fate ‘na specie di fisarmonica, ossia il gioco delle tre carte al contrario, ossia…ao, è difficile da descrivere queste operazioni! Poi piegatelo a metà per la lunghezza e rigiratelo). Poggiate l’impasto sul contenitore con cui lo infornerete, sagomatelo e praticate tre/quattro tagli con una lametta da barba usata (usata è un ischerzum barzellettis!), copritelo e lasciatelo lievitare per altre due ore. Una volta lievitato l’impasto attivate il vostro forno alla modalità “centrale termo-elettrica” (vale a dire 240 gradi anche anche), se vi va cospargetelo di olio con un pennello, così l’esterno sarà croccante e lucido e cuocete per 45/60 minuti circa. Abbassate la temperatura a 180 gradi dopo i primi 20/30 minuti, ossia dopo che si sarà formata una bella crosta dorata. Magnatelo!

Malco

p.s. Il rischio è che il vostro pane sia bello, ma troppo umido, perché l’impasto contiene molta acqua e la farina dura ne assorbe tanta. Allora il consiglio è di trovare il giusto tempo di cottura in modo che l’acqua in eccesso abbandoni la mollica interna e il vostro pane abbia una bella crosta esterna e una mollica morbida e in larte asciutta all’interno. Dipende dal tipi di forno che avete. Serve provare più volte la cottura per capire quale sia la soluzione migliore!

Guarda che mujica (mollica)…

   
   

Allesso?

1 Gen

img_1286Nota: la foto non rende bene l’idea della infinita bontà del piatto!!!

(Sottofondo, marcia di Radetzky). Buon anno a tutti, ai cucinatori e a quelli che magnano solo, ai simpatici e agli antipatici, a chi è a casa e a chi se la gode in vacanza, a quelli alti e a quelli bassi, a chi va di birra e a chi di vino, insomma, a tutti, tutti, tutti. Che il 2016 sia un anno pieno de robba bella. Stoppe.

La ricetta di oggi non poteva che essere un piatto classico del primo dell’anno, perlomeno dalle mie parti: l’allesso. “E che d’è?!”, vi chiederete voi… “Che d’è l’allesso?!”. Lo allesso, cara signora, non è altro che la carne lessata che ve rimane quando avete fatto il brodo. Una carne sciapa, che nun sa de gnende, che la magni pe’ forza e per fattela piace’ te ‘nventi tutte quelle salsette millecolo…ecco, l’allesso. Io però, che a me mi piasce di fare delle ricette di un certo tipo, a te propongo checcosa (qualcosa) che tu nun si mai vischto ne sintito! Ecco perché lo punto interrogativo fra’, adè (è) allesso o non adè allesso? Boh, chi lo sa, solo Bottura ce lo  pole (può) spiega’!

Più nello specifico andremo a fare un brodo di gallina con dei ravioli ripieni di allesso; tempo addietro lo avrei chiamato un allesso al contrario, ma non sarebbe stato preciso come nome. L’unica garanzia che vi do è che si tratta di un piatto speciale e di superba bontà…se lo fate bene… Se vi esce male: un piatto speciale e di superba schifezza.

Ricetta per n.6 persone

Ingredienti per il brodo scuro:

Mezza gallina a pezzi (cioè, una gallina che torna a casa stanca dal lavoro, con accenni di raffreddore, la cena da preparare e il pannolino della figlia da cambiare, a metà), carota, sedano e cipolla, 7/8 cicetti di pepe bianco (non me fa che vai a prendello in polvere e dici che è uguale, serve li cicetti!).

Ingredienti per il ripieno dei ravioli:

Cicorietta giovane, fresca e “dolce” (una sacchettata), parmigiano, 1 ovo intero.

Ingredienti per la pasta fresca:

1 uovo intero e un rosso d’uovo, 80 grammi di farina e 40 grammi di semola, 1 pizzico di sale.

-Esecuzione-

Per il brodo:

Prendete la vostra cajina (gallina) e avvertitela che a breve avrà finito di campare. Appicciate (accendete) lo forno a tacchiola (220/230 gradi centigradi) e fate “ammaronare” (parola tecnica degli addetti al settore) la vostra mezza gallina a pezzi. Ossia la dovrete far bruciacchiare fuori, far dorare insomma. Io per ottenere un buon risultato la prendo direttamente dal surgelatore e la butto in forno. Una volta dorata, la gallina avrà grande valore economico: andate in banca e depositatela. Dicevamo, una volta dorata, la gallina avrà rilasciato buona parte del suo grasso sul fondo del tegame che avrete utilizzato per rosolarla. “Io il tegame non ce l’ho messo”, brao tontolotto, addè (ora) pulisci lo forno da li sgrizzi (schizzi)!

La gallina così sgrassata e rosolata ti permetterà di fare un brodo delicatissimo, equilibrato e dal sapore (“dal sapore”, punto!). Procedi, quindi, mettendo in padella capiente due mezze cipolle (tutto mezzo oh!) rivolte a faccia in giù; insomma, appoggele da la parte de do’ le ssi tajate! Accendi il fuoco e lascia che si abbrustoliscano leggermente per tre/ quattro minuti… No le bbruscià (bruciare), lardellu (fessacchiotto)!

Aggiungi la gallina, la carota e il sedano (ovviamente carota e sedano li devi aver puliti prima, me pare de parla’ co’ uno che non ha cucinato mai!). Aggiungi acqua sino a coprire a pelo tutti gli ingredienti, aggiungi anche il pepe bianco (in bacche! Ossia, i cicitti!) e, se ti aggrada, una piccola fogliolina di salvia (no quella sleppa che c’hai lì davanti che pare (sembra) ‘na vrancia de ‘nzalata (ampia foglia di insalata)!

Lascia cuocere per circa due ore e mezza. Una volta ottenuto il brodo, separalo dagli ortaggi e dalla gallina e filtralo. Una volta freddato potrai levare l’eventuale olio in eccesso che si è formato in superficie. Brodo fatto!

Per il ripieno:

La gallina che giace a pezzi in quel contenitore di ferro lì innanzi ai tuoi occhi, ha ancora una funzione utile da svolgere. Separa la pelle e la carne dalle ossa. Separa la pelle dalla carne. Separa la carne da… Gnende (niente)! Finito! Prendi la carne e alcune piccole parti della pelle e mixale insieme con un mixerino/minipimer che hai. Dovrai ottenere una pasta pomatosa, tipo “spuntì” ( e la mamma lo sa?!). Di pelle mettine poca, io ti consiglio di aggiungere solo la pelle dell’estremità delle ali; bruciacchiata e profumata darà un leggerissimo tocco fumè al ripieno. Fai bollire per un quarticello la cicoria in una pentola. Usa per il ripieno solo il cuore della cicoria. Una volta bollita, strizzala bene (altrimenti l’acqua del ripieno ti spaccherà i ravioli!) e sminuzzala fino ad ottenere una massa pastova verde. In un contenitore mischia insieme la ciccia e la verdura (identiche quantità, diciamo un etto di carne e 80 grammi di cicoria), aggiungi del parmigiano grattugiato e aggiusta di sale. Sbatti un uovo e aggiungilo al composto. Ripieno fatto!

Per la pasta:

Vedi la ricetta della pasta che trovi nel sito! Comunque disponi a fontana la farina, poni nel mezzo le uova e il pizzico di sale, e sbatti con la forchetta. Incorpora (sano) il tutto e lavora per una decina di minuti la massa. Riponi in frigo per un paio d’ore la massa avvolta nella pellicola. Trascorse le due ore stendi la massa, metti il ripieno e fai i ravioli. Fine!

Per il servizio:

La racchetta, alta la devi tenere! Porta il brodo a bollore e butta i ravioli. A cottura ultimata leva dal fuoco. Io i ravioli li ho cotti con acqua salata a parte, così il brodo rimane limpido…ma io so’ fissato! Impiatta mettendo un mestolo di brodoe sette ravioli. Se vuoi fa’ il fico, aggiungi unparde pistilli de zafferano! Squisitoooo!!!

Marco in Padella

crostino con fegato d’oca, limone candito e riduzione di miele e sapa

8 Set

Crostino di fegato d'oca

Ao so’ vivo!!! Esisto!!! Cucino!!!

Ve pareva che m’ero dato alla macchia, che avevo abbandonato il blog ad un infausto destino…e invece col piffero! Ecchime chi (qui). ‘Ncarognitu come ‘na macchia de ceresce (testardamente pervicace come la macchia delle ciliegie)!

Annamo subito di ricetta. Ma prima un prologo: in questo lunghissimo periodo di assenza cosa ho fatto: c’ho ‘na fija (figlia), un lavoro, i doveri del coniugio: c’ho da fa’. E non potei scrivere. Non ne ebbi il tempo. Mapperò ho mangiato, provato e cucinato in ogni momento libero che avevo. Da ultimo mi son detto: amo’ devo impara’ a fa la cacciagione, i volatili, la roba meno comune. Il core (cuore) me se stringe a penza’ (pensare) che il cuntadì me ‘mmazza lu viru (il tacchino) proprio per me (l’immagine del tacchino che libero scorrazza pe’ lo campo senza sapere che il giorno successivo sarà pasto dei miei commensali mi dà davvero fastidio, ma così è e lo accetto; fine).

Allora ho iniziato con il piccione che nella città che mi ospita è una pietanza piuttosto comune e tradizionale. La mia città natale è la città “de li pistacoppi” (ossia dei piccioni). Mia nonna il piccione lo cucinava sempre. A scuola andavo in classe con uno che di cognome faceva Piccioni. Mi piace il tenente Colombo; del quale non ricordo quali comici americani fecero una parodia dal nome “il Tenente Piccione”. Per distruggere la mia abitazione (qualora la dovessi distruggere un domani) di certo userei il piccione al posto del piccone… Però il piccione m’è venuto così così…

Allora sono passato ad altro volatile. Dico: che se po’ magna’ (mangiare). La mia città ha come santo protettore il santo più strambo che io conosca. Quando ero piccolo nonna mi raccontava le storie di questo santo, non per farmi dormire, ma per spiritamme (impaurirmi). San Giuliano. No dico, un santo che per prima cosa ammazza i genitori. Un serial killer. Ma santo. E ‘sto santo non è che ne combina una, ma ne combina tante. Tra le varie vicissitudini c’è quella della papera. In brevissimo: la papera je sarva (gli salva) la vita, lui je vole un gran be’ (gli vuol tanto bene), arriva una famija de poracci affamati… e la papera non c’è più. The ende. Quindi a San Giuliano (31 agosto) da noi se magna la papera. Sempre.

Ora. La prima cosa da capire è: la papera cosa è? Un’oca? Un’anatra? Approfondii. Lo chiesi alla cuoca della pro-loco de suppiazza (dello stand sito nella piazza dell’orologio). Una garanzia. Ella, con fare minaccioso mi disse:- la papera è anatra eppunto. Non ce prova’..- e mi mando via. Cosa intendesse ninzò.

Quindi: alle Marche no’ je freca gniè del resto dell’Itaglia (non importa alcunché del resto del resto dell’Italia). Nelle Marche la papera è un’anatra. Fuori dalle Marche invece, la papera è un’oca giovinotta. Conferme ne ho avute da diversi soggetti. Tra di loro un allevatore che chiameremo col nomignolo di Lorenzo. Ello sfama giovini volatili in quel di…vicino a dove sto io. Ello è bravissemo. Ello mi ha fornito la papera. E mi ha detto: dentro (riferito al corpo dell’animale) te c’ho lasciato lo stomaco, il cuore, i reni e il fegato…però il fegato è dell’oca. Ma come?!! E perché?! Ma che significa?! Proprio il feteco (fegato) m’hai sostituito! Ma è la parte più buona che… Ma questo non glielo dissi. “Ao, e quanto la fai lunga pe’ na ricetta!” direte voi. E avete la ragion veduta!

La ricetta:

Tempo: “e che ce vòle” (20 minuti)

Porzioni: “pe’ 3 e menzi” (3 persone e mezza)

Difficoltà: “tuntu” (principiante)

Ingredienti: un fegato d’oca contenuto in una papera (ovviamente sto scherzando), del burro (20 grammi circa), salvia, pepe, olio, sale, buccia di limone non trattato (come se fa a sbavasse tra un trattato e un limo’ me lo dovete spiega’), miele e sapa cubbì (quanto basta). Eventualmente: micro pezzetto di pipiloncino.

Prima cosa: che d’è (cos’è) la sapa? La sapa… (anche detta saba) sa di televisore. La sapa è un succo scuro derivante dalla bollitura del mosto. Zio Gustì me la faceva mangnà co’ la polenta; non me piaceva (parentesi: tanti di voi conosceranno “li sughitti”, ossia una polenta fatta con il mosto d’uva). E’ un ingrediente della cucina povera contadina che spesso fa da tramite tra il dolce del mosto e il salato delle pietanze (se stavene avanti ‘sto contadini de ‘na volta!). Da piccolo, come detto, non mi piaceva. Ora la adoro. Forse perché mi ricorda la casa di ziu Gustì. Ciao zio, sei stato mitico!

Esecuzione:

Per prima cosa prendete il feteco d’oca. Guardatelo: esso è brutto. Pulitelo da eventuali filature turgide che potrebbero rendere sgradevole la consistenza bocchea (maronna che linguaggio di proprietà!). Prendete una padella bassa e scaldatela a fuoco medio oppure abbracciatela forte forte. Filo d’olio. Buttatece drento la salvia…se volete un micro pezzetto di pipiloncino, poi mettete il fegato. Esso è brutto. Esso deve cuocere pochissimo, tenuto conto del fatto che è molto sottile. Fiamma alta, trenta, quaranta secondi per lato. Non appena la crosticina esterna si sarà formata levate il fegato dalla padella e poggiatelo su un tagliere. Tagliatelo sottilmente. Poi trituratelo ancor più finemente, magari utilizzando una mezza luna. La consistenza pastosa del fegato renderà il composto cremoso ma non omogeneo. Sennò sembrerebbe quel paté che se compra al supermercato! Quando è ancora caldo infilatelo in un contenitore (i barattoli di vetro Fido fanno al caso vostro!)  e poggiateci sopra due-tre pezzetti di burro. Rigirate il composto nel barattolo e una volta freddo mettetelo in frigo. Per l’uso: tiratelo fuori pochi minuti prima e scaldate il barattolo in una casseruola con acqua calda: il burro si scioglierà un poco e l’impasto tornerà bello pastoso come se fosse stato cucinato in quel momento.

Per le zest di limone, tagliate la buccia dell’agrume evitando di includere la parte bianca (questo ormai lo sanno anche i muri!!!), e fate delle striscioline sottili. Mettere sul fuoco un padellino con tre cucchiai di zucchero e uno di acqua (io vado a occhio). Quando il composto si schiarisce versate le striscioline di limone e fate bollire per qualche minuto. Non troppo altrimenti lo zucchero caramella e il limone diventa duro. Per capire il momento giusto per spegnere la fiamma fate così: prendete con la punta della forchetta una goccia dello sciroppo che sta bollendo e poggiatela su una superficie di acciaio; poi alzate la punta della forchetta: se si forma un piccolo filo di congiunzione tra la punta della forchetta e la superficie d’acciaio allora è ora di spegnere. Se non si forma alcunché è troppo presto. Se si forma una specie di “ciotta” (sasso durissimo e arrotondato) allora siete fregati!

Appena levate le bucce dal fuoco, poggiatele su un colino in modo che il liquido sciropposo possa colare via. Spruzzate un pizzico di sale sulle bucce e lasciatele asciugare (ottimo sarebbe il sale Maldon affumicato).

Ripigliate il pentolino di prima (pulitelo!). Metteteci dentro due cucchiai di miele e due di sapa e un pochino d’acqua (un cucchiaino potrebbe bastare) per diluire leggermente il composto. Fate fremere il liquido e levate dal fuoco.

Abbrustolite un tozzetto di mollica di pane e con il pane ancora caldo componete il piatto come da figura che vi si ammostra!

Ciao cari e a presto!

Marco in Padella

Piatto unico di triglie all’aglione

23 Ott

Premessa:
Sto in crisi. Dice: che c’è? Che c’hai? Che è? Stai a lasciatte co’ la regazza?! No, sto in crisi de ricetta! “E che crisi de che?!” Allora, è da un mesetto, ma anche quattro che mi sono impuntato su una ricetta: i vincisgrassi. Che da noi nun se chiamene “vincisgrassi” ma ce devi da mette 4 o 5 esse in più, devene da trasudà de esse: svingisgrassi. Ora tu dirai: embé?! Che crisi de che?! Li vingisgrassi li fa pure nonna…senza che stai in crisi te passo la ricetta. Ma tu sottovaluti Marco in Padella! Io i vincisgrassi li ho fatti (ricetta “originale” del 1000 a.c. che m’è scappata pure male…o meglio non perfetta). E vi posterò la ricetta. Ma il blogger de roba da magnà non sta mai fermo co’ la capoccia e mila je va bene le ricette classiche. No! Le vuole (vuole) trasforma’! Io volevo fare i vincisgrassi di pesce. “Embé?! Fai un sugo col pesce e lo metti al posto del ragù”. Primo i vingisgrassi all’inizio erano bianchi col tartufo, secondo io non voglio solo cambiare il ripieno. L’idea che mi è venuta è che (onore a Uliassi) io la pasta della lasagna la faccio co’ la seppia. Bella idea. Però come la rimpippo? Ho pensato un sacco di tempo al ripieno. E delle idee buonucce ce le avevo. Poi però stasera (pochi attimi fa) ho fatto delle prove. Mi so’ comprato ‘na seppia l’ho cotta a modo mio e l’ho sfogliata al coltello (stortignaccola). Provo questo e provo quello…vabbé ma non trovo niente di perfetto. Poi, per caso metto l’olio di sesamo sulla sfoglia di seppia. E taaaac! Eccola lì la struttura perfetta della mia lasagnetta di pesce!!! E ve lo volevo dire. Ammò qualcuno di voi dirà: vabbé ma che c’entra sta roba con il piatto unico di triglie?! Niente. Non c’entra assolutamente niente, ma ve lo volevo dire!!!

E domani metto la ricetta delle triglie…promesso!

Marco

p.s. sono stato a Radicofani (Toscana verso il basso). A causa del Magnate di Roma, detto l’antennista, me so’ comprato aglietto, agli rosso e aglione (vi dice niente la ricetta dei pici all’aglio?!). Venti euri di trecce d’aglio: Polansky di “Per favore non mordermi sul collo” avrebbe invidia di me! Quell’aglio lì è speciale…se andate compratelo! Ma vi resterà difficile per i prossimi mesi perché a Radicofani ho fatto piazza pulita io!

Torta “Intensamente Cioccolato” di Ladurée

14 Set

Intensamente-cioccolato
Prima cosa: non finirò mai di ringraziare tutta la “ienta” (tutte le persone) che passa qualche attimo della giornata sul mio blog. Mi fa star bene!
Seconda cosa: c’ho un sacco di ricette da postare, ma non c’ho tempo! (tra parentesi: devo anche scrivere le pagine dell’auto-corso di pasticceria)
Seconda cosa e mezza: Martina e ragazzo questa è per voi! Faciatela!!!
Terza cosa: quando si parla de “Ladurée” tocca esse seri. Seriissimi.

LA RICETTA:
Quando i francesi ce se mettono so’ davvero forti. Quando scrivono “intensamente cioccolato” non è che scherzano. Questa torta è un concentrato cioccolatoso da far paura, un portentoso ed equilibrato mix di ingredienti che ha il suo perno nel cioccolato. Quindi manco a dillo, non fate che me annate al supermercato e comprate quei blocchi de cioccolato da dodici chili a tre euro e cinquanta. Il cioccolato che userete per questa ricetta sarà il più buono che potrete reperire sul mercato. Non fate i sorrisetti, non fate i furbetti! Io vi guardo, vi sorveglio…
Si tratta (come qualcuno che ha letto il post de la “pazzia di Natale”, già sa) di impilare un biscotto macaron al cioccolato, su un biscotto al cioccolato, su una ganache al cioccolato nero, su una mousse al cioccolato e ricoprire tutto con una glassa al cioccolato. Ho detto cioccolato?! Poi decorare il tutto con….. il cioccolato. La ricetta è difficilina e richiede tempo. Ma nulla è impossibile per voi, o lettori!

DIFFICOLTA’: e chi l’avria mai criso (ossia: all’inizio sembra impossibile, poi con calma e pazienza si arriva alla fine e il risultato è dengo di nota, e chi l’avrebbe mai detto!)
TEMPO DI ESECUZIONE: dalle 3 alle 5 ore, dipende da quanto chiacchierate…
PORZIONI: mah… direi che basta per una persona, tanto è buona!

INGREDIENTI:
Un sacco de robba! Li divido per le singole “parti” da preparare, così è più facile.

PER IL BISCOTTO MACARON AL CIOCCOLATO:
85 gr di mandorle polverizzate
80 gr di zucchero a velo
5 gr di cacao in polvere non zuccherato
20 gr di cioccolato al 70% di cacao
2 albumi+ 1 cucchiaio di albume sbattuto
70 gr di zucchero semolato

PER IL BISCOTTO AL CIOCCOLATO:
20 gr di farina “0”
15 gr di fecola di patate
10 gr di cacao in polvere (non zuccherato)
2 uova intere
50 gr di zucchero semolato

SCIROPPO DI CACAO (sempre per il biscotto al cacao)
25 gr di zucchero semolato
1 cucchiaio di cacao non zuccherato
5 cucchiai di acqua

PER LA GANACHE AL CIOCCOLATO:
125 gr di cioccolato al 70%
125 ml di panna liquida fresca
30 gr di burro (i francesi!)

PER LA MOUSSE AL CIOCCOLATO (la vera mousse!):
4 uova intere
40 gr di zucchero
160 gr di cioccolato al 70%
40 gr di burro
1 pizzico di sale

PER LA GLASSA:
100 gr di cioccolato (70%)
80 gr di panna fresca
40 gr di latte intero
20 gr di zucchero
20 gr di burro

COSA VI SERVE:
Nocciole tritate o codette di cioccolato per guarnire, un cerchio di acciaio da 20 cm di diametro e 4 cm di altezza, due teglie da forno a fondo piatto, carta da forno, tasca da pasticcere con bocchetta da 10 mm

E v’ho detto solo gli ingredienti!!!

ESECUZIONE:

BISCOTTO MACARON AL CIOCCOLATO:
Prima regola del maccarone (macaron): la polverizzazione delle mandorle deve essere finissima, superfina, finafinaquanteché. FINA!!! Le mandorle devono da esse polvere. Perché? Perché più la farina è polvere più il biscotto viene bene e si alza. Più la farina di mandorle è ciccia, più pesa, più il maccarone viene basso. Amen. Indipercui, mescolate (la ricetta dice: con un robot da cucina) le mandorle polverizzare con lo zucchero a velo e il cacao in polvere. Otterrete una polvere. Setacciatela. Quindi: mettete più farina di mandorle, zucchero a velo e cacao di quello che vi serve, rispettando doverosamente le proporzioni, perché setacciando vi perderete un bel po’ di peso…
Poi, fate sciogliere il cioccolato a bagnomaria fino a portarlo a 35°-36° gradi circa.
Montate gli albumi a neve. Quando saranno belli spumosi aggiungete un terzo dello zucchero e continuate a sbattere per scioglierlo. Altro terzo di zucchero e sbattete per un ulteriore minuto. Ultimo terzo di zucchero e sbattete ancora per un minuto circa (meno quassi). Versate il cioccolato sui bianchi anele e mescolate con la spatola morbida. Poi incorporate la polvere di mandorle-cacao-zucchero a velo.Ora, il pasticcione francese aggiungerebbe il cucchiaio di albume che precedentemente a sbattuto e tenuto da parte. Tu seibbravo,fallo!
Metti l’impasto in una tasca da pasticciere e con la bocchetta forma un disco di 20 cm di diametro. Fai cuocere il disco per 25 minuti in forno a 150°. Poi fallo freddare e guardalo: sei stato bravo/a!

BISCOTTO AL CIOCCOLATO NERO:
Prima cosa riscalda il forno a 170°. Tanto per sudà. Poi setaccia insieme la fecola, la farina e il cacao in polvere. Separa i tuorli dagli albumi. Rompi i tuorli quanto basta per renderli liquidi. Poi monta gli albumi a neve incorporando lo zucchero sin da quando l’albume è bianco e spumoso. Quando la neve è ben ferma sei arrivato: la montagna! Ora con una spatola incorpora i rossi agli albumi. Poi versa a pioggia le polveri setacciate e incorpora con delicatezza (no a “truzzemunnù”!). Metti sulla teglia da forno la carta da forno e, usando la tasca da pasticcere, forma sulla teglia da forno un cerchio del diametro di 20 cm pricisi! Brao/a (bravo/a). Ora inforna per 20 minuti a 170°. Fai freddare.

SCIROPPO DI CACAO:
Facile: metti insieme zucchero e cacao, aggiungi l’acqua. Porta a ebollizione. Fine.

CREMA GANACHE:
Trita finemente il cioccolato con un coltello e mettilo in un recipiente adatto al microonde. Scalda il cioccolato a 45 gradi circa (ossia fino a quando non si scioglie completamente). Poi riscalda la panna sino a 50-55 gradi e versala nel cioccolato. GIra e rigira. Inserisci il burro tagliato a pezzettini che avrai levato qualche minuto prima dal frigo…. Eh? Che dici? Lo leviamo qualche minuto prima dal frigo?! No, tu ce lo volevi mette freddo del frigo vero?! Arrrrrggggghhh!!!

PRIMO ASSEMBLAGGIO:
Rifila i dischi di biscotto macaron e biscotto al cioccolato della stessa misura del cerchio di acciaio. Metti un cartoncino per dolci della stessa misura del cerchio di acciaio su un piatto piatto e tondo… un piatto piatto… vabbé. Poggia il cerchio sul cartoncino e rivestilo internamente con dell’alluminio (io non lo fecei e me ne pentii!) per sformare più facilmente, ovvero per rendere più difficile la tua discesa all’inferno a causa delle imprecazioni.
Metti il biscotto maccarone sul fondo del cerchio e poi versaci sopra la ganascia. Indi, tutto in fricorifero!

PRIMO TEMPO, RICREAZIO’!

MOUSSE AL CIOCCOLATO:
Fermi tutti. Qui si parla di vera mousse al cioccolato. Se un giorno Jerry Biscotti vi farà la domanda da un milione di euro sulla mousse al cioccolato, voi con questa ricetta saprete rispondergli a tono.
Tritate il cioccolato su un tagliere. Fate sciogliere a bagno maria il cioccolato sminuzzato e il burro (ovviamente metteteli in idoneo contenitore). Lasciate raffreddare sino a 18-20 gradi. Separate poi i tuorli dagli albumi. Prendete gli albumi e sbatteteli leggermente per romperli. Sbattete a neve gli albumi e aggiungete lo tzuccoro fino a quando non diventano ben fermi. Aggiungete i tuorli usando una frusta ma senza sbattere: siate tilicati! Se usate una palette da cioccolato va bene, anzi è meglio! Incorporate un terzo del composto a quello del burro-cioccolato poi aggiungete il resto del composto amalgamando sempre tilicatamente. Versate la mousse al cioccolato in una tasca da pasticciere e ricoprite con essa lo strato di biscotto maccarone e ganassa al cioccolato che avete messo nel frigo. Poggiate sopra alla mousse il biscotto al cioccolato (o maronna che bontade!!!) e poi imbibite il biscotto con lo sciroppo al cioccolato che avete già preparato… fantastico!!!
Aggiungete altra mousse fino al bordo del cerchio e uniformate il pianoro cioccolatoso. Poi mettete il tutto per due ore in frigorifero.
Levate la prelibatezza dal frigo e sfilate l’anello di acciaio. Coprite con una pellicola per alimenti e via nel surgelatore per 30 minuti… Ci siete quasi…

LA GLASSA:
Preparate la glassa sminuzzando il cioccolato. Intanto in una casseruola portate ad ebollizione la panna con il latte e lo zucchero. Versate il composto sul cioccolato. aggiungete il burro. Mescolate bene e lasciate intiepidire.

Ora: piglia la torta dal surgelatore, poggiala su una grata e leva la pellicola. Versaci sopra la glassa aiutandoti con un mestolo. Aggiusta la copertura con una spatola da pasticciere. e lascia rapprendere per un paio di minuti. Alza la torta leggermente infilando un coltello tra il cartoncino e la griglia e applica le codette di cioccolato o le nocciole. Decora la superficie come meglio credi ma sii elegante!
Mangia.
LA PERFEZIONE!

Marco

POSTFAZIONE:
Silenzio. Pause. Grattatine di gola… Vabbé e ammò che facimo (facciamo)?! Silenzio. Autoritarietà. Contegno. Sguardo che rotea ipnotico…. Hoccapito, ma io devo scrive una ricetta milka fa un comizio politico… Ritorniamo nei ranghi: Ladurée lo conosco da quando è piccolo. Lui era basso e c’aveva il complesso. Tutti lo deridevano. Tranne me. Lui mi diceva sempre:” Grazie Marco, un giorno se diventerò famoso coi dolci ti renderò partecipe delle mie ricette segrete.” Grazie Ladurée che bella amicizia è la nostra, facciamo che rimanga amicizia perché uno che je piace a fa’ i dolci a me me suona strano. Poi non seppi più nulla di lui fino al giorno in cui mi dissero che era diventato famoso. Allora andai da lui e gli dissi: Ladurée te ricordi quando eravamo amici che tu m’hai detto… E gli rammentai i fatti. Ma lui fece lo gnorri e non mi diede alcuna ricetta. Però mi disse: Marco, detto tra noi, tra un mese esce il libro delle mie ricette segrete. Compratelo. Ma io avevo troppo dolore al cuore e decisi di fotocopiarlo. Ed è così che oggi questa fantastica ricetta del mio amico Ladurée, per gli amici “Minimaus”, arriva a voi, o lettori faciatene buon uso!

N.B. la fota che ho messo non è la mia perché la torta che ho fatto è scoparita (come dicevo quando ero piccolo) pochi attimi dopo averla messa a tavola. Ho così chiesto il permigio di utilizzare la foto della torta fatta da un’altra bravissema blogger (tal sig.na colazionialetto.com), lei non ancora mi ha risposto (come dice Claudia degli Abruzzi), ma sono sicuro che dirà di sì e mosso dalla fiducia più fiduciosa uso la sua fota facendole infiniti complimenti per la perfetta esecuzione del dolce!

Focaccine alla canapa sativa

2 Set

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“Sig. Padella, lei è stato assente dal blog per due mesi!”
Hai ragione signor direttore, ma io…
“Niente ‘ma’ signor Padella, lei è licenziato!”
Come licenziato?! Ao, il blog è mio! Semmai me sospendete…
“Ma lei non si rende conto, con la crisi che avanza, la riduzione dei salari, l’inverno alle porte, l’autunno in garage, l’estate che nemmeno è cominciata… Ma lei si rende conto che le persone volevano leggere le sue xxxxxte quando erano a casa a fare un bel niente?!”
Ha ragione signor direttore, ma ho una figlia! Ho una madre della figlia! Ho un canittu!!!
“Questo non la esime dal portare avanti il suo lavoro! Lo sapeva prima di accettare questo incarico che c’era una figlia, una madre della figlia e un canittu a cui badare.”
Ma che incarico, ma che lavoro?!
“Lei a quel signore che chiedeva delucidazioni su come utilizzare le farine integrali non ha risposto! Non ha risposto alla signora che si lamentava perché la mozzarella non le era venuta!!!”
Lo so, è vero, ho sbagliato. Scussa! Perdonno! Piettà!!!
“Quando mi parla così, con quel dolore negli occhi…quando mi raddoppia le consonanti… Guardi finiamola qui, facciamo che non è successo niente…”
Direttore…
“Padella…”
Abbraccimi!!!
Fine

Allora, focaccine alla canapa sativa, dicevamo… Ah! Ciao a tutti!
Perché le focaccine? Perché sono buonissime e a me piacciono le lievitazioni. Per esempio: ho deciso di provare a fare il lievito nonna. Ossia il lievito madre del lievito madre che mi darà il mio amico panettaio. Lievito nonna appunto.
Un giorno in agrituristico de ‘ste parti trovo la farina di canapa sativa. Io sapevo che co’ la canapa ce se facevene le corde e invece…ci si fa anche la farina. Ma come la uso? Per legare i pacchi non andava bene, meglio la corda della farina. Allora la ho miscolatta con la farina e ci ho fatto le focaccine. Vi descrivo passo passo il tutto così vi vengono uguali spampinate alle mie e non me dite: aoooo, a me non sono venute!

Ingredienti:
Farina manitoba Mulino Spadoni 800 grammi circa, 12.5 gr di lievito di birra, 550-600 c.c. di acqua, un po’ di sale e 100 gr di farina di canapa sativa.

Versate 3/4 della farina in un contenitore idoneo allo smiscolamento (io usai l’impastatrice profescional). Intiepidite un bicchiere d’acqua (intiepidite significa che l’acqua non fa le bolle ma arriva si e no alla temperatura del vostro corpo 36.8 gradi circa! Diringuenti!!!) e buttatece drento (dentro) il lo lievito. Fatene pappetta. Poi versatelo nella conchetta centrale che avrete fatto nella farina. Iniziate a mescolare aggiungendo a poco a poco il resto dell’acqua. Quando l’impasto è ancora liquido aggiungete anche al farina di canapa e il sale. Ammò ce sarà lo splendido che dirà: tu sei un ciammotto, aggiungi il sale quando ancora il lievito non è partito! Allora, prima de tutto se non te va bene come faccio la ricetta consultate con Suor Germana. Poi ninn’è vero che il sale fa male alla lievitazione, semmai la rallenta. Certo che se tu, furbo e splendido come sei, sul lievito ci appoggi sopra un cucchiaro di sale bella non è. Ma se usi le accortezze che ti evidenzio sopra vedrai che non avrai problemi. Ciao splendido.
Dicevamo:aggiungete anche il sale. Una volta che l’impasto incorda aggiungete a poco a poco la farina restante. Ora attenzione massima: non dove fa’ come mi’ padre quando ero piccolo: ello aggiungeva farina alla massa della pizza fino a quando l’impasto non gli attaccava più le mani. Il risultato era una roccia intrusiva (giusto Mozzo?!). il segreto di un buon impasto è la leggerezza dello stesso. Pensate ai pori (poveri) lieviti dell’impasto di mio padre: come facevano a spostasse nella roccia?! Quanta farina se dovevene magna’?! Allora lasciate l’impasto piuttosto liquido. Ovviamente si dovrà formare una buona maglia glutinica, ma non per questo l’impasto dovrà essere asciutto. Io vi consiglio di lasciarlo “liquido” ossia bello appiccicoso, ossia del tipo che se lo lavorate a mano non riuscite a staccarvelo di dosso. Una volta che l’impasto sarà pronto mettetelo in un contenitore bello grande (almeno 4 volte l’impasto) ungetelo e copritelo con una pellicola trasparente. Poi, tutto in frigo. Ora attendete 16-18 ore circa (io lo fecei alle 19 del giorno prima per tirarlo fuori dal frigo alle 13 del giorno dopo) e tiratelo fuori dal frigo. Dovrebbe essere lievitato più o meno del doppio. Tutto quello che farete da questo momento in avanti dovrà rispettare sempre il seguite principio: non schiacciare le bollicine che si sono formate nell’impasto a meno che non sia assolutamente necessario. Aiutandovi con un tarocco poggiate l’impasto sul piano di lavoro (superficie di legno o contenitore che userete per infornare), infarinatelo e stendetelo delicatamente con un mattarello. Siccome l’impasto è appiccicoso mettete una bella dose di farina sul piano di lavoro sennò non lo staccate più! Se siete bravi nonostante questa operazione riuscirete a preservare la gran parte delle bolle dovute alla lievitazione. Con un cerchio da pasticceria ricavate dei cerchi di impasto e poggiateli nel contenitore che infornerete. A me i cerchi sono diventati ovali perché non ho a casa gli attrezzi per raccogliere l’impasto (la classica pala da pizzaiolo) e le focaccine sono molto morbide e tendono quindi a sfaldarsi…. ma che ce frega! Tanto sono superbuone ugualmente!
Adesso che l’impasto si trova a temperatura ambiente continuerà a lievitare con più vigore. Aspettate un paio d’ore e mettete il forno a manetta (250 gradi). Cospargete le focaccine d’olio (io uso la mia manina per distribuire omogeneamente l’olio) e infornate. L’olio serve ad ottenere la croccantezza profumata nella parte superiore della focaccia.
Farcite come più vi aggrada e mangiate!

Marco il redivivo

p.s. io ho farcito con un insalata di rucola, pomodori e senape e una bella fetta di persiutto di Parma.
p.s. biretta in frigo necesse est!

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ravioli con ventresca di tonno e cipollotti al limone sticchinente

13 Lug

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Prefazio’:
Tempo fa avevo visto chef Rubio che parlava di burro in salamoia. Fantastico dico io. Devo stroa’ (trovare) la ricetta. La ricetta non la trovo. Trovo però quella dei limoni in salamoia. Limoni in salamoia?!?! E che ce se fa?!?! Maa che me ponno (possono) servi’ i limoni in salamoia?!?! Cosa farci non lo sapevo ma provai ad eseguire la ricetta. (La ricetta che ho seguito ‘ndo (dove) ve la metto non lo so ma in due parole ve la sintetizzo sotto a modo mio… Poi proverò a fare una pagina dedicata alle conserve). Comunque, oggi mi sveglio e mi chiedo: che possiamo mangiare a pranzo?! Mentre cerco nella credenza trovo un barattolo che giorni addietro a seguito di eruzione aveva straripato buttando fuori parte del suo contenuto nonostante la attappatura con guarnizione. E questo che è?! Il barattolo del limo’ in salamoia!!! E chi se lo ricordava più! Proviamolo!!! Lo sradico dall’incrostazione che l’eruzione aveva creato alla base e lo stappo. Ne provo un pezzetto… Orripilante! Un sapore devastante e salato, pizzichente (c’è il pipiloncino) e aromatico. Su tutto regna imperiosso il Re dei Limo’ de Surrient’ di Vichi(ce ne ho strizzati 3 o 4): grazie Vichi! Se uno ti benda dici: detersivo per piatti… E invece no, è il limo’ in salamoia!
Rimango perplesso. Poi subbito: che ce se po’ (può) fa?!?! Indove lo posso adopera’?! Ravioli con ventresca e cipollotti al limo’ in salamoia!!!

Ingred (Bergman) Ienti per 4 persone:

1 etto e mezzo di vetresca di tonno in scatola (massima qualità), 1 cipollotto, colatura d’alici, fettine di limone in salamoia, burro, origano e, se vi va, un pomodoretto secco sott’olio…Ovviamente 2/3 etti di ravioli a seconda di quanto siete sprocedati. Se fate 3 etti di pasta aumentate le dosi degli altri ingredienti…

Esecuzione:
Prendete un bel piatto e posizionate il limone come nella fota. Mettete delle gocce di colatura di alici alla base del piatto e stop. Fate bollire i ravioli e scolateli. Intanto avrete soffritto il cipollotto sminuzzato con un po’ d’olio. Mettete un pizzico di sale e fate freddare. Aggiungete al cipollotto il burro mentre la temperatura scende. Una volta freddo, aggiungete al composto er ventresca. Versate i ravioli nel composto una volta scolati e cotti. Smischiate. Poggiate i ravioli nel piatto e cospargete il tutto con origano. Fantastico piatto. Il verdicchio ci si sposa a perfezione! W le Marche!!! W Er Ventresca!!!
Io ci bevei una Malvasia dell’azienda “la Staffa” di Staffolo.

Malco

ps1 il limone posto all’esterno del piatto serve a far rimanere i sapori distinti e a permettere al mangiatore di scegliere il momento in cui sentire in bocca l’esplosione del limone in salamoia. In verità il piatto lo dovrei chiamare “ravioli buco di culo” perché scoprire un abbinamento così efficace e particolare a volte è questione di fortura e sperimentazione. Ma è un none troppo volgare e il Mozzo mi ha redarguito!

ps2 ricetta pe’ ‘l limo’ in salamoia. Pigli il limo’ lo taji (tagli) a fette, lo metti in un vasetto e ogni piano ce metti un cucchiaro de sale, 3/4 grani de pepe, 3/4 pezzetti de peperonci’ e ce spremi mezzo limo’, poi fai ‘naltro piano… poi (puoi) mettece anche l’alloro. Arria (arriva) fino all’uru (in cima) e ‘ttappa (sigilla). Spetta un misittu (all’incirca un mese) e magna.

Spaghettoro di Verrigni alle briciole di seppia di bosco cantabrica…enammisè!

28 Giu

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L’urlo trapanarecchia di mia figlia mi sveglia che ancora cerco di digerire la bottiglia di vino della cena. Sono le 5.30; al mio fianco il Mozzo riverso a mo’ di mezzena di vitella con gli occhi socchiusi accheta di nuovo il mostriciattolo che per tutta la notte non ci ha fatto dormire. Ma io non ho più sonno. Così sommo un numero “x” di giorni all’ultima pioggia e visualizzo il luogo “y” in mente, eseguo una complicata operazione matematica ed ho un risultato sicuro: FUNCHI!!!! Si va.
Tornato con trombette, porcini, russole e pizzicate sulle gambe ho dentro un’esigenza primaria: ‘nventete (inventati) una pasta che non sia la solita (ottima e stupenda) tajatella coi funchi… Certamende (certamente)!

Ingredienti (per tre persone)
300/400 grammi di misto funchi fresco e di bosco…llea (togli) ‘sso (quel) sacchetto de porcinacci surgelati de supermercato da le ma’ (dalle mani)! Poi, alici del Mar Cantabrico…mette via (togli) ‘sse (quelle) aliciacce dell’eurospì! Poi 2 seppie dell’Adriatico…non proà (provare) a mette drento (dentro) ‘ssa sporta (quella busta) ‘sse seppiacce surgelate…burro qubbì (quanto basta), pane integrale secco, pepe, sale, prezzemolo, aglio, olio…spaghetti di ottima qualità (io ho usato quelli Verrigni, trebbiatura 2013)…Me pare (mi sembra) che ci stamo.

Procedimento:
Scottate le seppie su una pentola bella calda e pressatele da un lato quando le cuocete. Giratele e pressate. Salatele delicatamente e levatele dalla pentola. Non cuocetele più di 40/60 secondi (in base alla grandezza della seppia) sennò diventano dure. Vedrete che la seppia cotta diventa una specie di sigaro arrotolato. Tagliatelo a lamelle sottili sottili, aggiungete dell’olio e stop. Poi versate dell’acqua nella pentola in cui avete scottato le seppie e raccogliete il fondo di cottura. Riducetelo e filtratelo con un colino. Più o meno dovranno restarvi 3 cucchiaini di liquido.
Poi passate ai funchi: puliteli tagliateli a pezzettoni, metteteli in pentola con un filo d’olio e uno spicchio d’aglio. Dopo due/tre minuti di cottura levate l’aglio e aggiungete il burro (se volete mettete un pezzettino di pipilongino, ma piccolo!). Dopo 5 minuti levate i funghi dal fuoco. Lasciate del burro di cottura in pentola e levate la pentola dal fuoco. Triturate una alicia e mezza e mettetela nel burro della pentola, poi schiacciatela ulteriormente con la forchetta. Cuocete la pasta in acqua salata, scolatela e versatela nella pentola col burro alicioso. Versate i porcini in pentola e smestecate (mischiate).
Componete il piatto mettendo il cucchiaino di concentrato di cottura sul fondo del piatto, poggiate una sforchettata di pasta sopra, mettete i riccioli di seppia che avete tagliato sottilissimi, briciole di pane integrale che avrete pestato con un pestello da pesto, un pizzico di pepe, olietto, un pochino di prezzemolo (Simone direbbe maggiorana) e buon appetito!

Marco in P.

PS vado a correre!

Pasta cu li scarciofeni de Montelupo’

16 Mag

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Allora lo scarciofeno lo conosciamo tutti. Alcuni lo chiamano carciofo, per fa’ vvedé che sanno il taliano…
“Scusa, ma ‘ssa (questa) pasta com’è?”.
Com’è. Eeee, com’è, cuscì cuscì (non proprio il massimo), è un po’ amara, salata…puzza pure un pochetto….
Com’è?!?! Che dici, come sarà?!?! È buona! Non è che te posto una ricetta cattiva, quindi che domande me fai?! Poi se tu nun sei bravo a coce (cuocere), allora “è diferente”, come dice nonna!
Lo scarciofeno piace a tutti. “Non è vero!”, vabbé trovamelo tu un pazzo a cui non piace…
Una voce acidina e appuntita si alza dal coro: “a me i scarciofeni non mi piace”. È il mozzo da cucina a parlare. Proprio lei, il mozzo: tu quoque Mozzus convivente more uxorio mia!!!
Da quando ho saputo che il mozzo detesta lo scarciofeno ho iniziato ad avere dubbi su di lei… E se un giorno uscisse fuori che detesta l’agnello?!?! Chi vive con me?! Il nemico dorme nel mio letto!

Tornando a lo scarciofeno: Montelupone, ridente paesino dell’entroterra, produce ottimi carciofi. A Montelupone si tiene ogni anno (a maggio) una famosa sagra: la sagra degli scarciofeni. A Montelupone i scarciofeni so’ proprio buoni.
Ora, chi ama lo scarciofeno lo sa: esso è un tipo difficile. Ci bevi il vino? Spesso l’abbinamento stride. Lo accosti ad altre pietanze? Ci fa a cazzotti. Te lo magni da per esso (da solo) a ‘nzalata (come insalata)? Bravo, però non sei una mucca e lo dovresti cuocere oppure abbinare a qualcosa di sfiziosso!
Che ce dice col carciofo? Roma docet. Roma imperat. Roma rules!
Carciofo+menta+alicia+parmigiano/pecorino=ce dice.
Non è che per forza devi mette tutto insieme, però questi ingredienti tra loro vanno d’accordo che è un amore.

Ingredienti:
2 etti di pasta che ti piace, 2 foglioline di menta piperita, 3 scarciofeni (de Montelupò!), pecorindo romano q.b., un filo d’olio e sale.

Preparazio’:
Lustra i scarciofeni…lustra…’rcapa i scarciofeni, ossia leva le foglie esterne e le punte piccose. Tieni da parte le foglie scartate. Pulisci i gambi (decorticatio). Se il carciofo è particolarmente tenero fallo a fettine sottili altrimenti dagli una sbollentata nell’acqua di cottura della pasta (5 minuti basteranno).
Metti le fettine di carciofo (anche i pezzi di gambi se teneri, sennò pre-bollisci!) in una pentola bassa e fallo leggermente arrostire. Poi aggiungi un filo d’olio e poco dopo dell’acqua (1/3 di bicchiere) e fallo cuocere per circa 10 minuti (anche meno se ti piace sentire lo scricchiolio delle foglie). Incoperchia!
Getta le foglie di scarto del carciofo nell’acqua della pasta che bolle e toglile una volta che avranno rilasciato tutto il loro profumo e colore.
Cuoci la pasta e scolala un paio di minuti prima della cottura. Termina la cottura rigirando la pasta nella pentola con un po’ d’acqua di cottura.
Leva dalla fiamma e fa raffreddare leggermente. Aggiungi alla pasta il pecorindo romano e rigira il tutto fino ad ottenere una cremina. Aggiungi le foglie di menta tagliate a piccoli quadretti. Rigira. Aggiungi infine i scarciofeni.
The ende!!!

Buon appetito

Marco

PS io adoro i carciofi. Mi piacciono crudi, cotti, mezzi cotti mezzi no, fritti, bbrusciati, insomma sono fantastici. Il primo abbinamento che mi ha folgorato ha come protagonista lo scarciofeno: acqua fredda e carciofo sono incredibili insieme. Voi direte che è una stupidata. Ao, c’aveo 10/12 anni! È stata la prima volta che mi sono accorto che un abbinamento corretto esalta il sapore e lo porta verso nuovi profumi. Provateci e vedrete. Un carciofo fresco cotto in pentola con aglio e prezzemolo e un bel bicchiere di acqua ghiacciata e liscia (acqua naturale): il massimo… Però se ci volete mettere un vinello… Provate il verdicchio!
PS2: la foto de lo scarciofeno de Montelupo’ l’ho presa dal sito di “Marche Tourism Network”. Grassie!